Vito Mancuso, Obbedienza e libertà, ed Campo dei fiori

di Nerero Tiso

Il nuovo libro di Vito Mancuso possiamo dire  che sia in perfetta linea con gli altri suoi volumi, ormai molti.  Il tema affrontato in questa ultima fatica è complesso e l’aiuto che dà Mancuso alla riflessione e all’approfondimento è importante. Le sue prime pagine e le ultime del volume mettono in luce le nefandezze della Inquisizione, scrivendo nomi e cognomi di illustri condannati al rogo. Su questo nulla di nuovo, ma reputo sia stata una sintesi per affermare che cosa voleva dire disubbidire alla verità in nome della libertà. La sua critica al potere e soprattutto alla Chiesa cattolica che gestisce il suo di potere è ferma e motivata con argomentazioni importanti anche se non sempre approfondite o condivisibili. Talvolta scivola su qualche banalità con frasi incidentali che sussurrano argomenti molto importanti che avrebbero meritato di più. Certo l’esercizio della libertà e il suo approfondimento sistematico non sono cose da poco o da percorsi per semplici iniziati. Per questo aiuta il concetto di anima, denigrata e rifiutata dai contemporanei per esaltare il corpo denigrato a sua volta per secoli dalla Chiesa. Una reazione nonostante i teologi,  “si dice”, dicano il contrario.  Mette insieme anima, peccato d’origine, anima che entra nel corpo per i concepiti e via dicendo; questioni importantissime che difficilmente si risolvono in poche pagine nonostante le citazioni di autorevoli teologi e pastori come il card Martini. Concordo sulla questione della concorrenza necessaria dei genitori sull’esistenza dell’anima nel proprio figlio. Altrimenti a che servirebbero i genitori  se non trasmettessero  la vita anche spirituale?Tutto si inserisce nel percorso dell’uomo e nella sua ricerca di identità e di senso e nel cercare la salvezza che lo stesso autore vede come la razionalità dell’uomo nella razionalità più grande, quella di Dio (Dio razionalità?). Altro argomento fondamentale sviluppato da Mancuso è la questione della coscienza e del suo primato che è la libertà per l’uomo. Da qui nasce una ulteriore critica alla gerarchia e alla sua incoerenza rispetto all’affermazione del valore inoppugnabile della coscienza e contemporaneamente a dare le regole di comportamento secondo i principi cosiddetti non negoziabili. Ma la coscienza è scevra da regole esterne non solo della Chiesa ma anche del diritto positivo? Certo, poi la coscienza  sarà libera di scegliere, questo sì. Da qui nascono esempi a partire dal caso Englaro, alle affermazioni del papa sull’uso del preservativo, ecc.  Sulla dimensione della laicità della quale Mancuso parla in modo approfondito, si evince la necessità di una nuova stagione di separazione  tra le varie dimensioni della società e la capacità di ognuno, come scrive Mancuso,  di governare il rapporto tra la dimensione interiore e la dimensione esteriore della nostra  vita. La conclusione del capitolo merita una citazione perché risulta significativa del pensiero mancusiano: “Fino a quando i cattolici italiani vorranno preservare la loro identità di cattolici senza pensarsi al servizio della società italiana, verranno meno al loro compito; e fino a quando la Chiesa tutelerà i suoi interessi particolari come una delle tante lobby senza essere davvero “cattolica”, cioè “universale”, non sarà fedele al suo compito che è spendersi per la vita del mondo”. Da qui ne risulta che i “cattolici” (chi sono???) non sono ancora al servizio della società italiana? Mi sembra un’affermazione semplicemente falsa. Altra questione, quella del dialogo interreligioso. Le fatiche delle chiese, della Chiesa, nel dialogo, con momenti importanti e momenti di depressione, per Mancuso si infrangono nel discorso del papa a Ratisbona. Mi sembra un po’ riduttivo e fuorviante nonostante nonostante le affermazioni del papa. Poi si transita per affermazioni che nel motore del cattolicesimo  c’è che “il cattolico conosce la verità che a lui viene insegnata dalla Chiesa”, o che l’essere cattolico si identifica con “…l’accettazione obbediente di tutte le proposizioni trasmesse dalla Chiesa….articoli di fede”. Conoscere la verità associato all’accettazione passiva dei dettati della Chiesa mostra un cattolico frustrato e che ha la ragione ma non la usa. Mi sembra non sia così. Nel dialogo interreligioso poi, nessuna religione o fede che dialoga vuole ridurre il proprio essere e la propria storia, oltre che, naturalmente, venire meno ai propri principi. Ciò non significa precludere il dialogo che sorge vero quando si è pienamente se stessi. Dialogo spirituale, dice Mancuso, ma io aggiungo  anche dialogo sociale perché le religioni vivono nel e del loro contesto storico-sociale.  Una storia diversa per gli atei ormai ben lontani dal modificare il mondo come pensiero militante, devono rassegnarsi alla crescita della ricerca di Dio, dice Mancuso.  Ma quale Dio? Non è la rivincita del Dio cristiano (ma è lo stesso ebraico o islamico…). La conclusione del suo libro Mancuso la inizia con affermazione molto interessante: “Il cristianesimo non sa più produrre cultura a causa dell’incapacità di leggere adeguatamente il mondo, tale capacità va ricondotta alla sua frattura con la contemporaneità”. Mi sembra un’affermazione forte in parte condivisibile, ma non scevra di retorica. Che cosa vuol dire non produrre cultura? E su cosa?  E poi, afferma ancora l’autore, il cristianesimo non è più affascinante per i ricercatori di verità. Anzi,  cito ancora dalla conclusione: “…duole constatare come nel sistema prodotto dal cattolicesimo dottrinale siano spesso gli spiriti servili, miopi, conservatori, prudentissimi a trovarsi meglio e fare carriera”. Insomma la Chiesa ama attorniarsi di una massa di mediocri che amano far carriera e per questo dicono sempre sì; senza pensiero né cultura.  Mi sembra che non occorrano commenti a tale affermazione. Credo che questo sia il tempo di Mancuso, ispirato nel pensiero, ma non sempre libero; certamente non obbediente

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