Tra la vita e la morte, tra sentenze e leggi
Ha fatto notizia la legge della Regione Toscana sul fine vita. Da una parte, la legge è riconosciuta come un passo in avanti decisivo verso il suicidio assistito seppur in condizioni particolari del paziente così come riportato dalla sentenza della Sprema Corte n. 242/19 e quindi, un “diritto” garantito. A fianco ci sta una zona grigia che, difficilmente, viene presa in esame nelle semplificazioni usate per vantare un diritto solo enunciato, ma non ancora stabilito. La Regione Toscana riprende il testo dell’associazione Coscioni, lo rielabora con degli emendamenti. Emendamenti che, rispetto alla proposta Coscioni e a quella della regione Veneto, fanno fare qualche passo in avanti, soprattutto per quanto riguardo le cure palliative, la formazione della commissione che dovrà esaminare i diversi casi.
Dobbiamo sottolineare che la sentenza della Corte Costituzionale non parla di “diritto” al suicidio assistito bensì di “agevolazione”. E così la legge della Toscana parla di “erogazione di un trattamento sanitario” cioè la somministrazione di un farmaco, autoassunto dal paziente, perché la morte sia rapida e indolore. Nella stessa legge così come nella proposta Coscioni, si parla che il servizio sanitario debba “garantire” la conclusione della “procedura” richiesta dal paziente. Quindi la vita, è legata ad una “procedura”! Molti sono i dubbi nonostante sia riconosciuto che l’aspettativa di vita aumenta e con essa le malattie croniche e degenerative, che mettono in difficoltà la persona che le vive con la consapevolezza della loro irreversibilità. Ma c’è chi ritiene che la sofferenza possa essere affrontata, non con l’anticipazione della morte, ma sapendo che esistono altre vie per riuscire scardinare la “volontà” di morte e non di vita.
In una conferenza di qualche tempo fa, la primaria dello IOV dott.ssa Zanovello, affermava che, in tutti suoi 40 anni di professione, non ha mai sentito un paziente chiedere la morte, ma sempre di non soffrire. Tutto ciò non vuol dire accanirsi inutilmente verso un corpo, creando ulteriori sofferenze di fronte all’impossibilità di sopravvivere. Accompagnare un paziente alla fine della sua esistenza senza prolungare le sue sofferenze, già viene effettuato con la delicatezza del momento e con la professionalità di medici e personale consapevoli che di fronte hanno una vita che è arrivata alla sua conclusione in assenza di ulteriori cure possibili. L’enfasi mediatica data alla legge Toscana (vedremo come la Valuterà la Suprema Corte), fa sorvolare sulla mancanza di alcune questioni importanti che potrebbero aiutare all’inizio per una ulteriore riflessione su una questione così delicata.
Pensiamo ai necessari finanziamenti per implementare presso le strutture sanitarie le cure palliative, o per garantire maggiori percorsi di ricerca sulle stesse cure palliative nelle università. Poi, non si può non rilevare come dalla legge Toscana sia assente la possibilità da parte dei medici e del personale di “rifiutare” qualsiasi pratica o procedura che abbia come conclusione la morte anticipata del paziente, così come previsto dalla sentenza della Corte che parla di “non obbligo da parte dei sanitari”. Completamente assente l’attenzione ai minori e agli inabili sapendo che, per queste persone e nei momenti difficili momenti della vita, le decisioni non possono essere lasciate a qualsivoglia tutore o amministratore. Infine voglio ricordare che in Veneto, dal 2019 ad oggi, le richieste di suicidio assistito sono state 7 di cui 4 respinte dalla commissione, 2 arrivate a conclusione e 1 rifiutata anche se poi il paziente è deceduto per morte naturale. In conclusione, il Parlamento affronti il problema con umanità e rispetto per la dignità delle persone.